Quaderni di Carta quattordici giugno

Numero 1 / Luglio 1999

Reginald Bartholomew. Ambasciatore americano in Italia dal 1993 al 1997, membro del Board of Directors dell’Atlantic Council, dell’Advisor Council del Bologna Center della John Hopkins University Nitze School of Advanced International Studies, dell’Us Council on Foreign Relations e dell’ International Institute of Strategie Studies. Vice presidente in Europa e presidente in Italia della Merril Lynch.

Quando Nino Andreatta mi ha chiesto di partecipare a quello che pensavo fosse un incontro piuttosto accademico, ho detto subito che non sono un esperto. Trent’anni di carriera diplomatica non sono il migliore modo di studiare da vicino il sistema della nomina di un presidente.

Ma quando mi sono messo a pensare alle procedure, ho pensato che il mio punto di osservazione non era così male. Voglio dire che un po’ di distanza ogni tanto aiuta a capire le cose.

La mia seconda osservazione è che io non trarrò nessuna conclusione dall’esperienza americana per ciò che riguarda l’Italia. Lo faccio non soltanto per neutralità politica ma anche perché mi risulta molto difficile saltare da un sistema politico governativo ad un altro così diverso.

Posso cominciare descrivendo molto rapidamente cosa vogliamo dire noi americani quando parliamo del processo di nomina di un presidente. E un iter che ha luogo ogni quattro anni, in cui si scelgono i delegati nei singoli Stati dell’Unione che poi si riuniscono in una convention per nominare un candidato alla presidenza.

La selezione di questi delegati e il modo in cui essi scelgono un candidato alla presidenza, tutto questo lo chiamiamo “Presidential nominating process”.

Due sono le caratteristiche chiave che hanno segnato il metodo attraverso tutta la storia, altre due — di cui parlerò dopo -, hanno interessato soprattutto l’epoca moderna, il secondo dopoguerra.

Le due caratteristiche generali sono queste:

1. è un sistema fondamentalmente decentrato, cioè sono i singoli Stati gli attori essenziali, è lì il campo di battaglia, è lì che vengono scelti i delegati. Anche se è vero che nell’epoca moderna c’è stata qualche regola uniforme, centrale, decisa dal vertice dei partiti politici per governare questo processo nei singoli Stati; e questo molto di più da parte del Partito democratico che dal Partito repubblicano, che anche in questo è minimalista nel campo degli interventi verso gli Stati.

Il peso del singolo Stato nella selezione varia a seconda della popolazione; per esempio, se mi ricordo bene, nel partito democratico sono 325 i delegati che vengono alla convention dalla California, mentre dall’Alaska sono una quindicina. Dunque un processo molto decentrato, con lo Stato come unità di base.

2. E’ un processo tutto politico. Nella Costituzione degli Stati Uniti non c’è neppure una parola su questo sistema; e non c’è neppure una parola sui partiti politici, che non esistono per la Costituzione;

né ci sono leggi federali che governano le procedure, salvo — se mi ricordo bene — una legge del 1976, che offre fondi federali per le primarie in misura uguale a quanto il candidato ha raccolto con le donazioni.

Fino al 1905 – anno in cui è cominciato il vero sistema delle primarie – non c’erano nemmeno le leggi dei singoli Stati, che poi sono soprattutto destinate a fornire i fondi pubblici per il finanziamento delle primarie.

Stiamo dunque parlando di un processo politico che è cambiato moltissimo nel tempo. E’ possibile individuare quattro fasi nella storia di questa evoluzione, che ha alcune pietre miliari e che è andata complessivamente – anche se non sempre e non sempre con facilità – verso la popolarizzazione, la democratizzazione, l’apertura, l’allargamento democratico.

“L’epoca dei notabili”, che va dall’inizio della Repubblica fino al 1840, è la fase in cui i delegati degli Stati erano i senatori ed i congressmen: erano coloro che si trovavano a Washington e tra di loro sceglievano il candidato di questo o quel partito.

Ebbene, non c’è da sorprendersi se c’è stata – dopo l’elezione di Jackson nel 1828 e poi ancora nel 1832 -la rivolta dei leaders dei partiti politici negli Stati, i capi e l’apparato che, volendo partecipare a questo potere, individuarono quale loro strumento la creazione della “convenzione”, composta di delegati scelti a livello di Stato e mandati alla convention per scegliere il candidato del presidente.

Questo ha aperto “l’epoca dei boss e dell’apparato”, cioè dei capi, “pari boss” e “pari machines”. Erano loro che sceglievano i delegati. Erano loro che si mettevano insieme alle convention per trattare, per mercanteggiare il candidato. È questa la bella epoca in cui nasce l’espressione “Le fumose stanze”; cioè quelle stanze dalle quali usciva il nome del candidato.

Questo ruolo del partito, dei capi e dell’apparato era evidentemente un elemento cruciale per il loro potere generale. Verso la fine del secolo c’è stata l’intrusione del popolo all’interno del sistema. Cosa è successo? Come voi forse sapete, alla fine dell’800 negli Stati Uniti c’è stato un grande movimento per la riforma generale; lo Stato del Wisconsin ha svolto un ruolo molto importante in questa riforma: la terza rivolta — questa volta contro i capi e contro l’apparato — ha avuto luogo nel 1905, quando il Wisconsin dette inizio alle prime primarie con una legge che fornì fondi pubblici per un’impresa che era del tutto privata.

Si è scritto e si è detto molto su questo momento, che rappresenta il superamento di una linea di confine epocale. A partire da quel momento, infatti, ci fu uno sviluppo rapido delle primarie, anche se dobbiamo dire che fino al secondo dopoguerra il sistema ha continuato ad essere caratterizzato dalla dominanza dei boss e degli apparati.

Per esempio, in questo periodo si svolgevano in meno di venti Stati su cinquanta; tutti gli altri erano i non primary States, dove i capi del partito sceglievano i delegati e attraverso questi il candidato.

È dopo la Seconda Guerra mondiale che abbiamo la spinta verso la democratizzazione culminata nell’elezione di Humphrey nel 1968, che segna la fine definitiva del sistema dei boss e del sistema misto boss-primary e l’inizio del sistema in cui viviamo adesso, cioè il sistema di larga democratizzazione: nel 1968 Humphrey fu nominato dal partito democratico senza essersi presentato nemmeno ad una primaria, a differenza di Mc Govern e Mc Carthy che, partecipando alle primarie, avevano conquistato una maggioranza.

Questo, è ovvio, è stato il detonatore che ha scatenato un’ondata di cambiamento nel partito democratico e tutta una serie di riforme tutte in direzione di un allargamento del sistema e che toccavano la rappresentanza delle donne, delle minoranze, la rappresentanza proporzionale.

E questo significava che in ciascuna primaria i delegati erano divisi secondo le percentuali di voto, invece che secondo la regola per cui “il vincitore prende tutto”, come avviene ancora adesso per i repubblicani.

Il professor Fabbrini ha detto che negli Stati Uniti questo processo ha deresponsabilizzato la premiership. Questo è vero nel senso che ha creato un sistema molto aperto e non del tutto guidato dai leader dei partiti.

Proprio per introdurre un elemento di coesione e di coerenza in questa situazione, i democratici hanno cambiato le regole per poter nominare ex-ufficio alla convention il 20% dei delegati scelti fra senatori, congressman, governatori e membri del Comitato nazionale; questi delegati non vincolati come gli altri dal risultato delle primarie o del cocus sono stati chiamati “super delegati”.

I Repubblicani, a livello nazionale, non sono intervenuti molto ma nei singoli Stati le organizzazioni repubblicane hanno adottato molte di queste riforme e dunque possiamo parlare di un sistema generale.

Ho detto che sono due le caratteristiche chiave — e concludo con questo — che descrivono il sistema moderno.

La prima è l’individualizzazione del processo; infatti è un sistema “fai da te”: chi pensa di farsi nominare presidente deve creare la propria organizzazione; può crearla utilizzando elementi del partito che però non sono il partito.

La seconda caratteristica è che si tratta di un sistema in cui l’outsider può vincere. Cioè non si deve seguire l’iter necessario in un sistema parlamentare per arrivare al vertice.

Ci può essere un outsider. Ci sono stati due grandi casi di questo genere: c’è stato Carter – è vero, era un governatore democratico della Georgia – che è arrivato alla candidatura presidenziale contro la leadership del partito. Anche Reagan, pur essendo stato eletto due volte governatore della California per il partito repubblicano, era un outsider per grande parte della leadership del partito repubblicano.

Reginald Bartholomew: Una piccola precisazione: quando ho parlato di outsider non ho utilizzato questo termine nel senso di outside party: Carter è stato un outsider ma membro del partito democratico. Un’altra cosa molto importante è che l’outsider non vince con il denaro; un esempio chiaro è ancora il caso di Carter e della sua campagna vittoriosa per la nomina nel 1976.

Seminario di Carta 14 giugno

“Noi pensiamo che il nuovo Ulivo debba nascere da una autentica spinta costituente, attraverso convenzioni politiche e programmatiche, usando quello che dovrebbe diventare uno strumento normale: il metodo delle primarie”.

Quaderni di Carta quattordici giugno – Periodico dell’Associazione per la costituente dell’Ulivo

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Roma questo numero è stato chiuso in tipografia il 26 luglio 1999

Numero 1 in attesa di autorizzazione

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