Giuseppe Conte
Giuseppe Conte

Di Marco Ascione

Corriere della Sera

Lunedì 5 febbraio 2024

Il leader del M5S: «No alle ambiguità su Europa e politica estera. Il Movimento non abbandonerà la sua forza propulsiva». I sondaggi favorevoli alla maggioranza? «Consenso fragile destinato a cadere repentinamente»

«Nel Pd esiste ancora, in alcuni, un riflesso condizionato. La memoria di un passato in cui quel partito aveva una vocazione maggioritaria e una pretesa egemonica. Oggi non funziona più lo schema dei satelliti che ruotano attorno a loro. Oggi c’è un rapporto alla pari». Giuseppe Conte mette sul bilancino gli aggettivi. Non vuole sbagliare la dose. A volte ne aggiunge, altre ne sottrae. Il suo ragionamento, alla fine, per quanto riguarda il rapporto con il principale partito di opposizione, si potrebbe sintetizzare così: non c’è competizione con Elly Schlein, ma tocca al Nazareno decidere se vuole raccogliere le sfide del Movimento. Ad esempio su Europa e scenari internazionali. Altrimenti diventa complicato costruire un’alternativa di governo.

A Faenza, durante l’assemblea regionale 5 Stelle, sono comparsi cartelli con scritto «mai con il Pd». È questo quindi il sentimento della vostra base?

«No, non è questo il sentimento. Molto più di un cartello conta il senso di un’assemblea di oltre 1.500 persone in cui abbiamo ribadito il grande lavoro in Emilia-Romagna, e ovunque, per sostenere nei Comuni i progetti di segno progressista».

Quindi non c’è un no pregiudiziale al Pd. Eppure su temi cruciali come il Mes, l’Ucraina, la Rai siete all’opposizione l’uno dell’altro.

«Bisogna che ci intendiamo. Per presentare un domani un progetto serio e credibile va approfondito il confronto oggi. Dobbiamo scacciare l’ipocrisia: non possiamo nasconderci le differenze, anzi proprio su queste serve un chiarimento. E soprattutto non si può chiedere certo al Movimento di abbandonare quella forza propulsiva che da oltre 10 anni sta cambiando il Paese. Noi siamo questo».

Non è che c’entra anche il fatto che vuole essere lei a prendersi la leadership? Sembra quasi che alziate continuamente la posta per metterli in difficoltà.

«Leggo sui giornali che il nostro obiettivo sarebbe quello di ottenere un voto in più del Pd. O che mireremmo appunto a essere noi a comandare. Non è così. La differenza tra noi e gli altri è nel Dna. Come potremmo camminare uniti se poi non riuscissimo a lavorare nella stessa direzione non solo sul tema dei conflitti bellici ma, ad esempio, sulla transizione ecologica? O sulla questione morale e della legalità? O per una politica che vada incontro alle sofferenze oltre che dei più poveri anche del ceto medio?».

Di Elly Schlein che cosa pensa?

«Che sta provando a realizzare un nuovo percorso. Ad esempio sul salario minimo ha imposto al partito di convergere su una nostra battaglia storica. E così abbiamo messo un mattone per l’alternativa a una Meloni che si preoccupa degli “amichetti”, ma che se ne infischia di chi prende 4 euro all’ora. Le prossime battaglie da fare insieme sono sul conflitto di interessi e sulla regolamentazione delle lobby: dobbiamo impedire contaminazioni tra politica e affari. Ma sulla politica europea urge chiarirsi. Avremmo dovuto rendere strutturale il Next generation Eu e sul Mes continuare a combattere per trasformare l’accordo da intergovernativo in comunitario».

Insomma, state dettando le condizioni.

«Proprio no. Ma c’è un gioco a scaricare sul Movimento la responsabilità di non favorire la nascita di una coalizione. Vogliamo solo discutere e non ci allineiamo al Pd. La verità è che mentre noi abbiamo fatto chiarezza al nostro interno, tra loro esistono molte anime. E quando un giorno arriverà il voto politico non possiamo permetterci ambiguità».

Lei parla di ambiguità. Eppure non è sempre facile definire la natura dei 5 Stelle. Romano Prodi sostiene che non avete ancora deciso da che parte stare. La forza che lei guida è un partito di sinistra con qualche venatura di populismo? O che cos’è?

«Non siamo in attesa di ricevere attestati di progressismo dall’esterno. Questi attestati ce li siamo conquistati sul campo con il Reddito di cittadinanza, lo Spazzacorrotti, il decreto Dignità e tante altre riforme. Piuttosto bisognerebbe interrogare il Pd per verificare quanti nostalgici ci sono ancora del Jobs act e della Buona scuola, quanti sostengono il turbo-atlantismo e politiche europee neoliberiste. Chiediamo a chiunque si professi progressista di essere radicale su questi obiettivi. Perché se affermi un principio devi essere conseguente. Poi ci sono temi che a torto sono stati lasciati non alla politica, ma alla propaganda di destra, come quello della sicurezza che riguarda soprattutto le fasce deboli della popolazione che abitano nei quartieri periferici. Ecco, su questo e su alcuni nodi dell’immigrazione vogliamo aprire un intenso confronto».

Sia lei sia Elly Schlein, seppure divisi, picchiate duramente sul governo. Eppure, per ora, il consenso della maggioranza non ne viene minimamente scalfito.

«È un consenso fragile, destinato a rovinare repentinamente non appena chi ha votato Meloni si renderà conto di essere rimasto fregato. Penso agli agricoltori che oggi toccano con mano le politiche di questo governo su Irpef, decontribuzione e crediti di imposta. Presto vedremo le proteste degli imprenditori quando si accorgeranno della nuova tassa per la polizza assicurativa contro i rischi catastrofali».

Sugli agricoltori il governo è intervenuto portando da 5 a 8 miliardi i fondi del Pnrr per il comparto agricolo.

«Questo aumento il governo se l’è già venduto a fine novembre, proprio con i soldi del Pnrr che noi abbiamo portato. Riannunciarlo adesso è l’ennesima presa in giro da parte di una premier che ha preferito graziare le banche».

Se dopo il voto europeo Giorgia Meloni dovesse decidere di appoggiare un eventuale secondo mandato di Ursula von der Leyen, voi vi troverete in compagnia di Fratelli d’Italia?

«Come già accadde nel 2019 noi puntiamo ad essere determinanti per una commissione dalla forte impronta progressista. Quindi che non abbia bisogno del voto di Meloni e dei Conservatori».

Perché a Bruxelles i Verdi vi hanno chiuso la porta e siete rimasti senza casa?

«Con i Verdi il dialogo è stato solo accantonato in vista dello svolgimento delle elezioni».

Forse c’entrano le posizioni sull’Ucraina e il vostro no all’invio di nuove armi? Come è possibile una pace, come voi invocate, senza umiliare Kiev?

«Bisognerebbe puntare a garantire la sovranità e l’integrità di quel Paese tutelando gli interessi delle popolazioni russofile e offrendo alla Russia una duratura prospettiva di pace e di sicurezza».

Al momento pare un miraggio e la pace rischierebbe di essere sbilanciata a favore di Putin. Può aiutare l’ingresso dell’Ucraina nella Ue?

«Io non sono contrario, ma avrei sospeso tutte le iniziative, come questa, che possano ritardare il processo di pace».

Perché sulla scelta tra Biden e Trump non ha dato una risposta netta?

«Ho già chiarito che Biden e Trump non sono sullo stesso piano, ma voglio sottrarmi al giochino del dibattito interno in cui ci si aggrappa ai candidati delle elezioni altrui per definire la propria identità politica».

Magari pensa che Trump possa piacere a una quota del suo elettorato?

«Sarebbe una semplificazione sciocca. I voti del Movimento non dipendono da queste scelte. Non possiamo leggere con le nostre lenti ideologiche le differenze tra democratici e repubblicani. Di Biden ad esempio non condivido la postura sulla guerra in Ucraina e mi sarei atteso maggiore risolutezza già dall’inizio rispetto alle violazioni del diritto umanitario da parte di Israele».

Ha letto il libro del generale Vannacci?

«No. Ma il mio giudizio sulle sue posizioni è netto. Con noi non hanno nulla a che fare».

Lei è un avvocato, un professore. Un cattolico devoto di Padre Pio. Ai tempi della Prima Repubblica un classico democristiano di sinistra. È diventato più radicale o è rimasto fedele a sé stesso?

«Questi sono schemi ideologici ed esperienze politiche del passato. Francamente guardo al futuro».



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