«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

Gesù in croce, chiede al Padre il significato della estrema sofferenza degli innocenti.

“Essere messi alla prova di questa contraddizione è la prova di tutte le prove. Per un attimo, il suo avvilimento è un’esperienza devastante per la nostra interiorità.

Quella prova che Gesù stesso, nell’Orto degli Ulivi, per un attimo, ha domandato al Padre se non gli potesse essere risparmiata.

 Siamo pronti per la prova di tutte le prove? In realtà, non siamo mai abbastanza pronti per il passaggio dell’attimo eterno di questo smarrimento, che non fu risparmiato al Figlio, consentendogli di unirsi con l’esperienza più profonda della nostra interiorità vulnerabile.

Oggi siamo in una congiuntura nella quale il peso di questa “prova delle prove” della fede sembra coinvolgere credenti e non credenti in un unico smarrimento.

Nei decenni post-bellici della nostra euforia scientifica abbiamo fatto di tutto per convincerci della nostra capacità di regolare i rapporti di causa ed effetto anche nell’ambito dell’interiorità e delle intenzioni. Ci siamo detti che una somministrazione educativa degli stimoli adatti alla soddisfazione dell’ego produce individui positivi e disposti alla collaborazione.

Giusto farlo, ma non era vero.

L’effetto che volevamo si apre soltanto nella condivisione di una forza spirituale che vuole appassionatamente il bene anche quando il voler bene è fallimentare.

Ci siamo detti che una potente lievitazione della crescita produttiva e del benessere materiale genera un interesse diffuso per la pacifica collaborazione delle società e dei popoli. E via cantando. Giusto pensarlo, ma non era vero.

Il seme della convivenza e della pace non può affatto aspettarsi di diventare possibile solo quando tutti mangiano e hanno il cellulare. Viene da un’indisponibile affezione della libertà, alla quale deve attingere senza calcolo: altrimenti, quando il rapporto causa-effetto non funziona, siamo persi. E diventiamo anche un po’ vili: arretriamo, allontanando ancora di più il tempo del riscatto.

Il Christus patiens del Venerdì santo ci spiega – pazientemente direi – ogni anno, che questa contraddizione fra il seme generosamente gettato e il raccolto apparentemente compromesso va ogni volta affrontata, portata, espiata.

Lo Spirito e la forza che ci consentono di non arretrare, onorando il Figlio, che non cedette al nichilismo del bene fatto e del bene voluto, sono la grazia del Venerdì santo.

Noi stiamo entrando, collettivamente ormai, nel vortice di questa prova: annunciato dai segni di una regressione pulsionale collettiva.

Dopo decenni di giusto orgoglio per i successi della conoscenza psicologica e del benessere diffuso, uomini e donne, come anche genitori e figli, sono indotti ad affrontarsi “fisicamente”.

Dopo decenni di convivenza interreligiosa e di cooperazione internazionale, le differenze ridiventano motivo di “guerra”: con il ritorno degli dèi che maledicono gli infedeli e benedicono le spade.

“Abbiamo faticato invano?” Non abbiamo faticato invano, certo. Però, da qualche tempo, abbiamo forse evitato di faticare. In questi decenni non abbiamo forse cercato compensare la scarsa creatività della lieta semina della fede con l’eccitazione di infiniti progetti di riforma dell’istituzione?

Intanto, molti fratelli e sorelle, in molte parti del mondo, patiscono un Venerdi santo che a noi è risparmiato. Dobbiamo alleggerire la loro prova, più che cercare di sottrarci alla nostra”. Pierangelo Sequeri

Please follow and like us: