Immaginazione e creatività nell’età infantile

di Lev S. Vygotskij

(Editori Riuniti, Roma 1972)

…Penso che il giuoco non sia il tipo prevalente di attività del bambino. Nelle fondamentali situazioni della vita il bambino si comporta in modo diametralmente opposto al suo comportamento nel giuoco. Nel giuoco l’azione è subordinata al senso, mentre nella sua vita reale l’azione, naturalmente, domina sul senso. In tal modo, nel giuoco, abbiamo, se volete una negativa del comportamento generale del bambino nella vita. Perciò sarebbe (pag.153) del tutto infondato considerare il giuoco come prototipo dell’attività vitale del bambino, come sua forma prevalente.

In ciò sta il difetto principale della teoria di Koffka, il quale considera il giuoco come un altro mondo del bambino. Tutto ciò che si riferisce al bambino, secondo Koffka, è attività ludica. Ciò che si riferisce all’adulto è attività seria. La stessa cosa ha un senso nel giuoco, e un altro senso fuori di esso. Nel mondo infantile domina la logica dei desideri, la logica del soddisfacimento della pulsione, e non la logica reale. Nella vita si trasferisce il carattere illusorio del giuoco.

Sarebbe così, se il giuoco fosse la forma prevalente di attività del bambino; ma è difficile figurarsi quale quadro da manicomio ricorderebbe il bambino se questa forma di attività, della quale stiamo parlando, si trasferisse anche solo in una certa misura nella vita reale, diventasse la forma prevalente dell’attività vitale del bambino.

Koffka cita una serie di esempi del modo in cui il bambino trasferisce la situazione ludica nella vita. Ma un vero trasferimento del comportamento ludico nella vita reale può essere considerato soltanto come un sintomo patologico. Comportarsi in una situazione reale come in una situazione illusoria significa avere i primi germi di un delirio.

Come mostra la ricerca, il comportamento ludico nella vita reale si osserva di norma quando il giuoco ha il carattere del giuoco delle sorelle «alle sorelle», cioè quando i bambini, veramente seduti a pranzo, possono giocare al pranzo oppure (in un esempio citato da Katz) i bambini che non vogliono andare a letto dicono: «Giochiamo a fare la notte, e ad andare a dormire»; essi incominciano a giocare a quello che stanno facendo realmente, creando, evidentemente, altri rapporti, e facilitando così l’esecuzione di un’azione spiacevole.

Mi sembra qui che il giuoco non sia il tipo prevalente di attività nell’età prescolare. Soltanto nelle teorie che non considerano il bambino come un essere che soddisfa le fondamentali esigenze della vita, ma come un essere che vive alla ricerca di piaceri, che (pag. 154) tende a soddisfare questi piaceri, può sorgere l’idea che il mondo infantile sia un mondo ludico.

È possibile nel comportamento del bambino una situazione in cui egli agisca sempre secondo ragione, è possibile un comportamento così arido in un bambino in età prescolare che egli non faccia quello che vuole di una caramella soltanto perché pensa che ci si deve comportare altrimenti?

Questa sottomissione alle regole è assolutamente impossibile nella vita; nel giuoco, invece, diventa possibile; il giuoco crea, inoltre, una zona di sviluppo potenziale del bambino. Nel giuoco il bambino è sempre al di sopra della sua età media, al di sopra del suo abituale comportamento quotidiano; nel giuoco egli è in qualche modo di una testa più alto di se stesso.

Il giuoco contiene in sé in forma condensata, come nel fuoco di una lente di ingrandimento, tutte le tendenze dello sviluppo; il bambino nel giuoco tenta quasi di fare un salto al di sopra del livello del suo comportamento abituale.

Il rapporto tra giuoco e sviluppo può paragonarsi col rapporto tra istruzione-sviluppo. Nel giuoco si compiono mutamenti delle capacità e mutamenti della coscienza di carattere molto più generale.

Il giuoco è una fonte di sviluppo e crea l’area di sviluppo potenziale. L’azione in un campo immaginario, in una situazione fittizia, la creazione di una intenzione spontanea, la formazione di un piano di vita, di motivi volontari, tutto ciò sorge nel giuoco e lo pone al più alto livello dello sviluppo, lo porta sulla cresta dell’onda, fa della sua attività il perno dello sviluppo dell’età prescolare che si innalza da acque profonde, ma relativamente tranquille.

In sostanza il bambino si muove attraverso l’attività ludica. Soltanto in questo senso il giuoco può essere chiamato attività trainante, che determina, cioè, lo sviluppo del bambino.

La seconda domanda è: come procede il giuoco? È da notare che il bambino incomincia da una situazione fittizia, e per giunta questa situazione fittizia è originariamente molto vicina alla situazione reale. Si ha una riproduzione della situazione reale. Diciamo che il bambino, giuocando alle bambole, ripete quasi ciò che la (pag.155) madre fa con lui; il dottore ha appena esaminato la gola del bambino, gli ha fatto male, il bambino ha gridato, ma appena il dottore esce, egli mette il cucchiaio in bocca alla bambola.

Dunque, nella situazione iniziale la regola si trova in forma estremamente condensata, ridotta. Anche il carattere fittizio della situazione è assai poco fittizio. È una situazione fittizia; ma diventa comprensibile nel suo rapporto con una situazione reale appena verificatasi, e cioè il ricordo di qualcosa che è accaduto. Il giuoco fa pensare più al ricordo che all’immaginazione, è cioè piuttosto un ricordo in azione che una nuova situazione fittizia.

Di mano in mano che il giuoco si sviluppa abbiamo un movimento nel senso che si prende coscienza dello scopo del giuoco. È sbagliato immaginare che il giuoco sia un’attività senza scopo; il giuoco è una attività finalizzata del bambino.

Nei giuochi sportivi c’è la vittoria o la sconfitta, si può arrivare primo o si può essere il secondo o l’ultimo. In una parola, lo scopo decide il giuoco. Per un determinato scopo si fa tutto il resto.

Lo scopo, come momento finale, determina l’atteggiamento affettivo del bambino verso il giuoco; giocando a chi arriva prima, il bambino può provare una forte agitazione e una forte amarezza; del suo piacere può restare ben poco perché gli è fisicamente difficile correre e se lo superano egli proverà ben poco piacere funzionale.

Nei giuochi sportivi lo scopo verso la fine del giuoco diventa uno dei momenti dominanti, senza il quale il giuoco perde il suo senso, come guardare una caramella allettante, metterla in bocca, masticarla e risputarla.

Nel giuoco si prende coscienza dello scopo fissato in anticipo: chi arriverà primo. Alla fine dello sviluppo interviene la regola, e quanto più essa è rigida, quanto più adattamento esige dal bambino, quanto più essa guida l’attività del bambino, tanto più il giuoco diventa teso e appassionante.

La semplice corsa senza scopo, senza regole è un giuoco fiacco, che non appassiona i ragazzi.

Nohl ha esemplificato le regole del cricket per i bambini. Egli mostra che questo fatto fa perdere l’interesse, cioè per il bambino il (pag.156) giuoco perde senso di mano in mano che vengono meno le regole. Di conseguenza, alla fine dello sviluppo nel giuoco appare chiaramente ciò che all’inizio vi era allo stato embrionale. Appare lo scopo: le regole.

Questo c’era anche prima, ma in forma contratta. Appare anche un altro elemento, essenziale per il giuoco sportivo: il record, anch’esso molto legato allo scopo. Prendiamo, per esempio, gli scacchi. Fa piacere vincere una partita a scacchi e, per un vero giocatore, è spiacevole perderla.

Nohl dice che per un bambino arrivare primo in una corsa è piacevole come per un bell’uomo guardarsi nello specchio; si ha un senso di soddisfazione. Sorge quindi un complesso di qualità che alla fine dello sviluppo del giuoco vengono in primo piano mentre erano contratte all’inizio; i momenti, secondari o sussidiari all’inizio, diventano centrali alla fine e viceversa i momenti dominanti all’inizio diventano secondari alla fine.

Infine, la terza domanda: che tipo di modificazione nel comportamento del bambino produce il giuoco? Nel giuoco il bambino è libero, cioè determina le sue azioni partendo dal proprio «io». Ma è una libertà illusoria. Egli subordina le sue azioni ad un determinato senso, agisce partendo dal significato della cosa. Il bambino impara a prendere coscienza delle proprie azioni, a prendere coscienza che ogni cosa ha significato.

La creazione di una situazione fittizia dal punto di vista dello sviluppo può essere considerata come il cammino verso lo sviluppo del pensiero astratto; la regola a ciò collegata, mi sembra, porta allo sviluppo delle azioni del bambino in base alle quali diventa possibile quella divisione tra giuoco e lavoro che incontriamo nell’età scolare come fatto fondamentale.

Vorrei ancora richiamare l’attenzione su un altro elemento: il giuoco è effettivamente una particolarità dell’età prescolare. Per usare l’espressione figurata di uno studioso, il giuoco del bambino al di sotto dei tre anni ha carattere serio, come il giuoco dell’adolescente, ma in un senso diverso della parola, naturalmente; nella prima infanzia il giuoco del bambino è serio perché egli giuoca senza distinguere la situazione fittizia da quella reale.(pag. 157)

Nello scolaro il giuoco incomincia ad esistere come forma limitata di attività, prevalentemente del tipo dei giuochi sportivi che hanno una certa funzione nello sviluppo generale dello scolaro, ma che non hanno l’importanza del giuoco nell’età prescolare.

Per il suo aspetto, il giuoco somiglia poco ai risultati ai quali porta, e soltanto una sua profonda analisi interiore permette di determinare il processo del suo movimento e il suo ruolo nello sviluppo del bambino in età prescolare.

Nell’età scolare il giuoco non muore, ma penetra nell’atteggiamento verso la realtà. Esso ha la sua intima continuazione nello studio scolastico e nel lavoro (attività obbligatoria con una regola). Tutto l’esame della natura del giuoco ci ha mostrato che nel giuoco si crea un nuovo rapporto tra il campo intellettivo, cioè tra la situazione nel pensiero e la situazione reale. (pag. 158)

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