Mappa topografica della battaglia di El Alamein al 23 Ottobre del 1942

La Divisione Paracadutisti è stata costituita il 1° settembre 1941 a Tarquinia (VT) con i Reggimenti Paracadutisti 1° e 2° – cui si affianca il 3° nel marzo 1942 – ed il Reggimento Artiglieria Paracadutisti.

Resosi necessario l’impiego oltremare come unità terrestre, nel luglio 1942 è denominata Divisione di Fanteria “Folgore” (185^).

Le sue unità, di conseguenza, assumono la denominazione di 185°, 186° e 187° Reggimento Fanteria “Folgore” e 185° Reggimento Artiglieria “Folgore”.

La “Folgore”, avrà il battesimo del fuoco in Africa Settentrionale dove imporrà all’ammirazione del nemico e dell’alleato, il suo stile di combattimento.

Consumata ma non vinta nella terribile battaglia di El Alamein, viene ufficialmente sciolta il 23 novembre 1942.

La battaglia di Al Alamein

Sulla cartina seguente , tratta dal libro di John Keegan, La seconda guerra mondiale: una storia militare, Bur, 2003, sono rappresentati i movimenti della seconda battaglia di El Alamein (23 ottobre-4 novembre 1942)

La battaglia di El Alamein nella cartina tratta da ‘La seconda guerra mondiale una storia militare’ di John Keegan Bur 2003

La più grande battaglia d’Africa prese il nome di una località sede di una piccola stazione ferroviaria posta a circa 100 km a ovest di Alessandria d’Egitto: “El Alamein”.

Da detta località si diparte una strozzatura ampia poco più di 60 km, che va dal mare alla depressione di El Qattara. A Sud di quest’ultima località la depressione si prolunga sino all’Oasi di Siwa, il terreno è intransitabile per i veicoli trattandosi del fondo di un antico mare interno prosciugatosi, composto da sabbie mobili e da zone paludose salate.

L’andamento della strozzatura è inclinato con la sommità situata verso l’interno e culminante a Naqb Rala (q. 216) da cui si dipartono i ciglioni della depressione, che in alcuni punti è profonda sino ad alcune decine di metri sotto il livello del mare.

I punti di maggior rilievo sono: Abu Dweis (q. 229); Qaret Abun Saq (q. 198 ); Gebel Sanhur (q. 208); Munqar Labbaq (q. 183);  Gebel Kalak (q. 173).

Tra queste quote maggiori alcune strozzature sono conosciute come passi transitabili e principalmente quelli del “Passo del Cammello” e “Passo del Carro”, attraverso cui passa la “Pista rossa” che con andamento Sud-Ovest va da El Alamein alla depressione di El Qattara.

Le altre piste conosciute sono la Rommel piste, la Whisky piste, la Chianti piste; i nomi di queste ultime località risalgono a nomi convenzionali usati per il riconoscimento delle piste stesse durante l’ultimo conflitto mondiale; altra pista importante ma con andamento trasversale è la Tonnen piste che partendo da Deir el Munassib attraversa rispettivamente: la Rommel piste, la “Pista rossa”, la Ariete piste proseguendo verso occidente attraverso il Passo del Carro” (Pass of Cars).

Altro punto di notevole importanza usato per il rilevamento era la “Palificata”, che traeva origine da una linea telegrafica che da Sidi Abd el Rahaman si collegava con la “Pista rossa” a Sud di Himeimat. Essa seguiva grosso modo le retrovie dell’Armata corazzata italo-tedesca (ACIT).

Sulla parte più meridionale della zona descritta risultava schierata in posizione difensiva su un fronte di circa 15 km la Divisione paracadutisti “Folgore” al comando del Generale di Divisione Enrico Frattini.

La principale e immediata difesa della zona, era costituita da una larga fascia di campi minati su due ordini continui a distanza variabile dai 2 ai 4 km collegati in senso trasversale da altri campi minati. La dislocazione a scompartimenti o sacche minate consentiva l’attribuzione di nomi convenzionali alfabetici a ciascuna di esse. Altri sbarramenti completavano ed integravano le posizioni difensive anche a tergo dello schieramento o su posizioni laterali, allo scopo di evitare o poter più facilmente neutralizzare eventuali aggiramenti alle spalle.

Nell’interno delle sacche minate ordigni bellici costituiti da proiettili o da bombe d’aereo potevano essere fatti esplodere a distanza mediante innesco elettrico. Tali particolari accorgimenti vennero denominati Teufel-Garden (Giardini del Diavolo). All’interno e all’esterno esistevano dei corridoi obbligati, disposizioni di reticolati, appostamenti, ed infine le postazioni ed i ricoveri per armi di ogni tipo e per la truppa.

La battaglia di El Alamein si svolse per gli Italo-Tedeschi in condizioni nettamente svantaggiose. Gli Inglesi provvisti di abbondante e moderno armamento impostarono la loro grande battaglia sulla preponderanza dei mezzi. Essi, fin dai giorni che precedettero l’attacco impiegarono, ininterrottamente, di giorno e di notte, grosse formazioni di bimotori da bombardamento e di caccia bombardieri per colpire e distruggere i nostri depositi, interrompere il traffico ed i rifornimenti, daneggiare lo schieramento delle nostre artiglierie e le opere di difesa. L’aviazione inglese per tutta la durata della battaglia dominò incontrastata il cielo arrecando notevoli danni al nostro dispositivo di difesa.

Si giunse così alla sera del 23 ottobre quando cominciò improvvisa l’azione di preparazione dell’artiglieria avversaria che preannunciava l’imminenza dell’attacco. Gli Inglesi disponevano di circa 2.000 carri armati (oltre 1.300 impiegati nella battaglia) in parte americani tra cui i pesanti Sherman e Grant ed i leggeri Stuart, di una fortissima aviazione che agiva incontrastata di circa 3.000 cannoni di ogni calibro e di elevata potenza con una scorta di munizioni che permetteva loro di rovesciare sulle nostre linee migliaia di tonnellate di proiettili per settimane consecutive.

Dai margini della depressione di El Qattara fin al mare si accese, improvviso, un gigantesco lampeggiare che si fondeva in un’unica vampata vulcanica, accompagnata da migliaia di scoppi che sommergevano completamente il nostro schieramento dalla linea dei capisaldi alle postazioni d’artiglieria ed oltre, per sconvolgere e distruggere tutto ciò che potesse potenziare la nostra resistenza. L’uso di cortine fumogene paralizzava l’osservazione, ostacolava il tiro dei cannoni ed impediva di scorgere le mosse del nemico che si apprestava a serrare sotto le nostre difese per attaccarle. La “Folgore” attendeva l’imminente urto con la ferma volontà di opporsi all’avversario col massimo impegno e far pagare, agli Inglesi, a caro prezzo il loro ambizioso progetto.

I nostri ragazzi sembravano elettrizzati da quell’atmosfera di battaglia e dall’eccezionale spettacolo che si svolgeva intorno a loro ed attendevano senza timori lo sviluppo degli avvenimenti per incontrarsi con i Tommy e dare loro il “benvenuto”.

Alle ore 20,40 del 23 ottobre l’avversario iniziava un fuoco di artiglieria di violenza e proporzioni inusitate che si protraeva ininterrottamente per tutta la notte sul ed investiva in pieno l’intero fronte presidiato dalla Divisione “Folgore”.

Dal rilevamento delle vampe si potè calcolare che contro il solo fronte del 187° reggimento agivano non meno di 150 pezzi (confermati poi in 200). Malgrado il massiccio tiro d’artiglieria si poteva udire ogni tanto lo sferragliamento di cospicue masse di carri armati serranti sotto le posizioni dei paracadutisti.

Quando fra gli scoppi e le vampe che illuminavano a giorno le postazioni si udì l’ordine dei comandanti «ai posti di combattimento» un grido solo rispose altissimo ed unanime «Folgore!». Subito dopo numerose pattuglie nemiche protette da nebbiogeni tentavano di raggiungere i campi minati per aprirvi dei varchi, ma venivano inesorabilmente respinte.

Nel settore centrale la compagnia avanzata, la 6^ comandata dal Capitano Marenco, si fece sterminare dopo un violento corpo a corpo; dei 90 paracadutisti che componevano la compagnia solo una ventina riuscirono a ripiegare verso la nostra linea principale di difesa. Avevano distrutto 30 carri armati ed ucciso circa 150 inglesi. Nel pomeriggio del 24, in un tentativo di contrattacco, cadeva il comandante del raggruppamento Tenente Colonnello Marescotti Ruspoli a cui veniva concessa la medaglia d’oro alla memoria.

Verso le ore 14 del 25 ottobre una colonna di una quarantina di carri (4° Brigata corazzata leggera della 7° Divisione corazzata britannica) e due battaglioni di fanteria attaccavano il caposaldo della 12^ compagnia dei IV/187° comandata dal Capitano Cristofori. Dopo lotta violentissima, che condusse a fasi di corpo a corpo, il nemico veniva respinto con perdite particolarmente sanguinose lasciando sul terreno 22 carri armati immobilizzati.

Nella notte sul 26 l’avversario compiva l’ultimo tentativo di rompere il fronte della “Folgore”. Avendo constatato la saldezza della nostra linea decise di far massa contro il saliente di Deir el Munassib allo scopo di impadronirsene e di irrompere quindi lungo un allineamento vallivo (Deir el Munassib-Deir Alinda), che da quelle posizioni si diparte.

Dopo la consueta preparazione di artiglieria e nebbiogeni al sorgere della luna (ore 22) la 69^ Brigata di fanteria (50° Divisione britannica) e reparti della Brigata “Francia Libera” mossero su tre colonne all’attacco contro le posizioni dei IV/187° reggimento. Una colonna composta di due battaglioni del reggimento Green Howards e di una compagnia autoblindo, riprendeva il fallito attacco del pomeriggio contro il caposaldo della 12^ compagnia; un’altra colonna formata di elementi d’assalto degaullisti, impegnava la 10^ compagnia; una terza colonna costituita dai battaglioni del reggimento Royal West Kent (44^ Divisione britannica) e dal battaglione carri IV/8° Hussars (7^ Divisione corazzata) investiva da ogni lato il caposaldo presidiato dalla 11^ compagnia. Contemporaneamente venivano impegnate da altre unità le postazioni del II battaglione. Alle ore 23 l’intero fronte del 187° reggimento era così premuto da ogni parte.

Aliquote del IX battaglione in secondo scaglione, venivano spostate nella notte per rafforzare le ali dello schieramento, particolarmente minacciate. Verso le ore 01,00 gli attacchi diretti contro le postazioni della 10^ e 12^ compagnia potevano considerarsi stroncati. Le colonne avversarie in seguito alle gravi perdite subite, desistevano da ogni tentativo di progresso e si accontentavano di mantenere impegnata la difesa.

Grave si manifestava invece la situazione della 11^ compagnia. I vari centri di fuoco della compagnia attaccati su ogni lato e premuti da presso dai carri armati si difesero disperatamente. La lotta durò violentissima per un paio d’ore; poi, uno alla volta, i pezzi, controcarro esaurirono le munizioni e non potendo esserne riforniti perché rimasti isolati furono costretti al silenzio. Le armi automatiche venivano soverchiate dai carri. Alle ore 04,00 solo un paio di centri di fuoco resistevano ancora; la quasi totalità degli uomini della compagnia era caduta sulle posizioni.

In questa azione cadeva eroicamente, guidando un ultimo disperato tentativo di contrassalto, il Comandante della compagnia Capitano Costantino Ruspoli alla cui memoria fu conferita la medaglia d’oro.

Alle prime luci del giorno il Comandante del IV/187° (Capitano Valletti) quattro volte ferito, ma rimasto volontariamente sul posto, ordinava un contrassalto che veniva eseguito da un plotone al Comando del Tenente Raffaele Trotta, comandante della compagnia cannoni da 47/32 assegnata in rinforzo al IV battaglione.

Ad azione ultimata le posizioni perdute venivano riconquistate e saldamente tenute, successivamente il tenente Trotta veniva sostituito dal tenente Gallo, il quale a sua volta ferito, cedeva il comando del battaglione al Maggiore Vagliasindi.

Nel corso del giorno 27 il nemico, efficacemente contrastato, tentava un ulteriore attacco contro le posizioni della 10^/IV con elementi degaullisti rinforzati da un battaglione del Queen’s Royal Regiment (44^ Divisione inglese). La immediata decisa reazione del presidio, il tempestivo intervento delle artiglierie stroncavano l’attacco ed il nemico veniva rigettato con gravi perdite.

Durante il contrassalto cadeva eroicamente alla testa dei suoi uomini il comandante della compagnia, Tenente Gastone Simoni alla cui memoria veniva conferita la medaglia d’oro.

Il Maggiore d’artiglieria Francesco Vagliasindi del 185° reggimento, il cui gruppo a seguito delle perdite subite era stato sciolto, e che aveva chiesto l’onore di assumere il comando di un reparto di fanteria cadeva alla testa del IV/187° reggimento.

Il giorno 28 il nemico, esausto, non rinnovava i suoi attacchi limitandosi a battere le nostre posizioni con violenti tiri di artiglieria e mortai.

Nei giorni successivi, dopo qualche scontro di carattere locale, gli opposti fronti andavano stabilizzandosi. L’offensiva tentata dal nemico contro la “Folgore” era sanguinosamente fallita dopo sei giorni di accaniti combattimenti ed inutili attacchi. L’avversario era solo riuscito ad occupare parzialmente un caposaldo avanzato senza però infirmare la solidità delle posizioni, né intaccare minimamente la linea di resistenza. Il nemico aveva lasciato sul terreno alcune centinaia di caduti; 52 carri furono da esso perduti; 164 uomini tra cui 12 ufficiali venivano catturati.

Particolarmente significativo il tributo di sangue offerto dai comandanti di battaglione e di gruppo della “Folgore”: su 16 ufficiali succedutisi al comando di 9 unità, si ebbero ben 15 perdite (10 caduti e 5 feriti).

Il Generale Alexander a proposito dei combattimenti di quei giorni scrisse: «Si trovò che il nemico era in forze e bene appostato pertanto non si insistette nell’attacco».

Per quanto riguarda i due raggruppamenti nei quali era articolato il 186° si è detto che l’attacco si attuò in due direzioni: da est verso ovest, prevalentemente sul fronte del VII battaglione (raggruppamento Tantillo) ed essenzialmente condotto da fanterie.

Sul fronte dei VII battaglione l’attacco si protrasse fino al 31 ottobre, con alterne vicende, per l’intervento di nostri contrattacchi condotti con l’appoggio di carri armati. Iniziatosi con la distruzione dei nostri centri in fascia di osservazione, sovrumanamente difesisi con bombe a mano e bottiglie molotov; culminato il 26 ottobre con la costituzione da parte del nemico di una sacca al centro della posizione di resistenza del battaglione; ed infine respinto dal nostro contrattacco il 27 ottobre, con la eliminazione di tale sacca e la cattura di un maggiore, 3 capitani, 4 tenenti, 207 militari armi e munizioni: davanti alle nostre posizioni si contano semidistrutti, 67 mezzi corazzati nemici.

Il 28 ottobre un “parlamentario” inglese si presentava per chiedere una tregua d’armi, allo scopo di dare sepoltura ai caduti d’ambo le parti. La tregua, concessa, ha la durata di tre ore; al termine vengono scambiati i recuperati piastrini dei caduti: 50 paracadutisti, circa 150 inglesi.

Il nemico si riordina e si sistema a circa 600 metri dalle nostre linee per riprendere fra il 29 ottobre e la notte del 1 novembre i suoi sforzi condotti però, a quello che sembrava, con scarsa decisione e forse a solo scopo dimostrativo: lasciò in seguito alla nostra reazione nelle nostre mani un’altra cinquantina di prigionieri.

Sul fronte del V battaglione il vero e proprio contatto con il nemico avvenne verso le ore 3 antimeridiane dei giorno 24 ottobre. Anche qui esso non avvenne di sorpresa, perché fin dalla mezzanotte il posto avanzato di Qaret el Himeimat aveva dato notizia che si udiva sfilare da sud-est verso nord-ovest una forte massa di mezzi meccanizzati nemici: indubbio preludio ad un attacco avvolgente contro l’ala esposta del nostro schieramento generale.

Per detta eventualità data la natura e data anche l’esiguità delle forze disponibili, il comandante del battaglione con il pieno consenso del comandante del reggimento, si era orientato al seguente concetto: ridurre all’estremo uomini e mezzi dislocati ai piedi delle propaggini sud del ciglione di Munaquir el Daba, sovrastante la depressione salata, a sorveglianza del campo minato ivi esistente e col compito preciso di disorientare con la loro azione il nemico dando nel contempo un sicuro allarme al comando; di reagire in alto con l’immediato contrattacco contro le fanterie nemiche che si fossero affacciate da sud sull’altopiano (prive ormai dell’appoggio dei mezzi corazzati, necessariamente attardati dalla natura impervia degli accessi) cogliendole così di sorpresa, quando avrebbero creduto di aver raggiunto con estrema facilità il successo. A tale scopo il Comandante di battaglione, dopo aver sottratto e riunito tutti gli uomini non strettamente necessari al servizio delle armi, disponeva di circa 3 plotoni appoggiati da alcuni mortai.

Da parte sua il comando di reggimento dislocato come detto poche centinaia di metri a nord di Naqb Rala, armando con personale di fortuna alcuni pezzi anticarro da 47/32 (giunti senza personale nella giornata del 23) aveva disposto uno sbarramento prudenziale, fronte a sud della gola di Naqb Rala; aveva un pugno di uomini composto dagli elementi del plotone collegamenti e del comando; aveva predisposto per l’afflusso (qualora le vicende dell’azione l’avessero reso necessario e possibile) degli uomini dei centri arretrati viciniori del VI battaglione dislocati nella piana: perché, ove si fosse giunti a quegli estremi, egli giudicava di dovere giocare tutto per tutto.

L’azione nemica contro il fianco destro del battaglione si risolse rapidamente e nella maniera più brillante per noi: gli scoppi di alcune mine e il divampare improvviso breve ed intenso del fuoco delle mitragliatrici, il lancio delle bombe a mano da parte degli elementi di osservazione in basso, avverte che il contatto era avvenuto ai piedi del Ciglione Sud di Munaquir el Daba e che sarebbe stato imminente l’affacciarsi sull’Altopiano di Naqb Rala delle fanterie nemiche.

Il Comandante di battaglione articolò il rincalzo in due aliquote per l’azione sul fianco destro e nel fronte degli attaccanti; il comandante di reggimento con il modestissimo reparto di formazione si avviò verso il comando del V battaglione. Ma il suo intervento non fu necessario; il V battaglione risolse coi suoi mezzi la situazione. Non appena, nell’incerto chiarore antelucano vede dilagare in silenzio sul pianoro le fanterie nemiche, riconoscibili per il caratteristico elmetto, il Comandante del battaglione fa scatenare su di esse alcune celerissime salve di mortai e raffiche di mitragliatrici pesanti ed al grido di Savoia, Viva l’Italia, “Folgore”, dà il segnale del contrassalto: si gettano nella mischia anche i serventi della compagnia mortai.

Il nemico si arresta, tenta di resistere ma viene travolto ed incalzato, fino a che l’ultimo uomo non ha sgombrato il pianoro, ridiscendendo le pendici sud di Munaquir el Daba. Il Comandante del battaglione, il suo Vice Comandante, il Comandante della compagnia mortai, ed altri ufficiali sono feriti, sensibili sono nel complesso le perdite che hanno costituito il prezzo del successo, ma sul fronte del V battaglione il nemico non compie nessun altro attacco.

Fra il VII e il V è schierato il VI; questo non subisce alcun serio tentativo di rottura, ma sopporta notevoli perdite per le azioni di bombardamento e nelle azioni di pattuglia che si sviluppano, particolarmente attive, verso il tratto tenuto dal VII a protezione del proprio fianco sinistro.

Con la fine di ottobre (per quanto riguarda il 186° reggimento) tutto sembra avviarsi ad una relativa calma. Il nemico è stato respinto, ma le perdite complessive subite specie nei quadri sono state gravissime: sono caduti il Vice Comandante del reggimento (Tenente Colonnello Ruspoli), il comandante del VI battaglione (Maggiore Bergonzi) ed alcuni  comandanti di compagnia; sono rimasti feriti fra gli altri il comandante del V battaglione (Maggiore Izzo), l’aiutante maggiore in 1° del reggimento (Capitano Maggiulli), il Capitano medico Guberti. I comandi dei battaglioni V e VI sono tenuti da capitani appena promossi, le compagnie in gran prevalenza sono comandate da sottotenenti di complemento o da sottufficiali; la forza dei reparti è ridotta a pochi uomini. Ma il rimpianto per la perdita di tanti e tanti compagni d’arma è virile; lungi dal reprimere gli animi esalta in tutti l’orgogliosa fierezza di avere ovunque respinto il nemico combattendo strenuamente.

La situazione generale impose al comando di Armata di ordinare l’arretramento di tutto il fronte: l’ordine al 186° fu portato dal Vice Comandante della Divisione Generale Bignami alle ore 21,30 del 1 novembre: esecuzione immediata; nuova linea di schieramento da assumersi per l’alba del 2 novembre: Rain Pool-Karet el Kadim; divieto di operare distruzioni che comunque potessero svelare il movimento al nemico; nessun mezzo di trasporto a disposizione per il traino dei pezzi e per il carico di almeno parte delle riserve di munizioni; viveri ed acqua (che erano state accumulate in vista di strenua resistenza in posto) nessuno.

Tutti si resero conto che cominciava per il reggimento e per la divisione la più dolorosa vicenda, ma tutti erano decisi a far si che questa diventasse anche la più gloriosa e restasse leggendaria: la ritirata nel deserto.

EL ALAMEIN 1942_2002 – INFORMAZIONI DELLA DIFESA – IL PERIODICO – Inserto N. 6 anno 2002 Difesa.it

Seconda battaglia di El Alamein

Battaglia di Alam Halfa

Prima battaglia di El Alamein

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