LA CRITICA A ISRAELE NON È ANTISEMITISMO

La confusione tra l’antisemitismo e la critica di Israele o del sionismo ha delle ragioni precise.

Per anni, decine di paesi hanno sostenuto la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance.

La maggior parte degli 11 esempi di antisemitismo in essa contenuti riguarda giudizi sullo Stato di Israele e alcuni di essi limitano di fatto l’ambito delle critiche accettabili. Inoltre, la Lega Anti-Defamation classifica l’antisionismo come antisemitismo, nonostante i dubbi di molti dei suoi stessi esperti.

Queste definizioni hanno favorito l’intensificarsi delle relazioni del Governo israeliano con forze politiche di estrema destra e antisemite, dall’Ungheria alla Polonia agli Stati Uniti e oltre, mettendo in pericolo gli ebrei della diaspora.

Per contrastare queste definizioni generiche, un gruppo di studiosi dell’antisemitismo ha pubblicato, nel 2020, la Dichiarazione di Gerusalemme, che offre linee guida più specifiche per identificare l’antisemitismo e distinguerlo dalla critica e dal dibattito su Israele e sul sionismo.

2 novembre 2023

Leah Abrams, scrittore
Tavi Gevinson, scrittore e attore
Rebecca Zweig, scrittrice e regista
Nan Goldin, artista e attivista
Naomi Klein
Tony Kushner, scrittore
Deborah Eisenberg, scrittrice
Sarah Schulman, scrittrice
Vivian Gornick
Annie Baker, drammaturgo e regista
Hari NeIf, attore e scrittore
Judith Butler, scrittrice
seguono centinaia di altre firme.

Jerusalem Declaration on Antisemitism
Jerusalem Declaration on Antisemitism
https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/10/centinaia-di-intellettuali-ebrei-americani-la-critica-a-israele-non-e-antisemitismo/

Caro Alto Commissario,

questa sarà la mia ultima comunicazione ufficiale a Lei in qualità di Direttore dell’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani di New York.

Scrivo in un momento di grande angoscia per il mondo, anche per molti dei nostri colleghi. Ancora una volta, stiamo assistendo a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e l’Organizzazione che serviamo sembra impotente a fermarlo. Come persona che ha indagato sui diritti umani in Palestina fin dagli anni ’80, che ha vissuto a Gaza come consulente delle Nazioni Unite per i diritti umani negli anni ’90 e che ha svolto diverse missioni per i diritti umani nel Paese prima e dopo, questo mi coinvolge molto personalmente. Ho lavorato in questo Ufficio anche durante i genocidi contro i Tutsi, i musulmani bosniaci, gli Yazidi e i Rohingya. In ogni caso, quando la polvere si è posata sugli orrori perpetrati contro popolazioni civili indifese, è apparso dolorosamente chiaro che avevamo fallito nel nostro dovere di soddisfare gli imperativi di prevenzione delle atrocità di massa, di protezione dei vulnerabili e di denuncia delle responsabilità. E così è stato per le successive ondate di omicidi e persecuzioni contro i palestinesi durante l’intera vita delle Nazioni Unite.
Alto Commissario, stiamo fallendo di nuovo.

Come avvocato specializzato in diritti umani con oltre tre decenni di esperienza sul campo, so bene che il concetto di genocidio è stato spesso utilizzato abusivamente per scopi politici. Ma l’attuale massacro su larga scala del popolo palestinese, radicato in un’ideologia coloniale etno-nazionalista, in continuità con decenni di persecuzione ed epurazione sistematica, basata interamente sul loro status di arabi, e accompagnato da esplicite dichiarazioni d’intenti da parte dei leader del governo e dell’esercito israeliano, non lascia spazio a dubbi o discussioni. A Gaza, le case, le scuole, le chiese, le moschee e le istituzioni mediche dei civili sono state attaccate senza pietà, mentre migliaia di civili sono stati massacrati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme occupata, le case vengono confiscate e riassegnate in base alla razza e violenti pogrom dei coloni sono appoggiati da unità militari israeliane. In tutto il territorio regna l’apartheid.

Questo è un caso di genocidio da manuale. Il progetto coloniale europeo, etno-nazionalista e colonizzatore, in Palestina è entrato nella sua fase finale, verso la distruzione accelerata degli ultimi resti della vita indigena palestinese in Palestina. Inoltre, i governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e di gran parte dell’Europa sono totalmente complici di questo orribile assalto. Non solo questi governi si rifiutano di adempiere ai loro obblighi di “garantire il rispetto” delle Convenzioni di Ginevra, ma di fatto stanno attivamente armando l’assalto, fornendo sostegno economico e di intelligence e dando copertura politica e diplomatica alle atrocità di Israele.

Allo stesso tempo, i media occidentali, sempre più succubi e filo-governativi violano apertamente l’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, disumanizzando continuamente i palestinesi per facilitare il genocidio, e trasmettendo propaganda di guerra e odio nazionale, razziale o religioso, di fatto incitando alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza. Le società di social media con sede negli Stati Uniti sopprimono le voci dei difensori dei diritti umani e amplificano la propaganda pro-Israele. Le lobby israeliane e le GONGOS [pseudo ONG create o sponsorizzate dai governi per promuovere i loro interessi, ndt] molestano e diffamano i difensori dei diritti umani, e le università e i datori di lavoro occidentali collaborano con loro per punire chi osa alzare la propria voce contro le atrocità. Per questo genocidio, è necessario chiedere conto anche a loro, proprio come per radio Milles Collines in Ruanda.

In queste circostanze, la richiesta alla nostra organizzazione di un’azione giusta ed efficace è più grande che mai. Ma non abbiamo raccolto la sfida. Il potere protettivo del Consiglio di Sicurezza è stato nuovamente bloccato dall’intransigenza degli Stati Uniti, il Segretario Generale è sotto attacco per le proteste più blande e il nostro impegno per la difesa dei diritti umani è oggetto di un continuo attacco diffamatorio da parte di una rete organizzata di impunità online.

Le promesse illusorie e in gran parte insincere di Oslo hanno distolto per decenni l’Organizzazione dal suo dovere fondamentale di difendere il diritto internazionale, i diritti umani internazionali e la stessa Carta. Il mantra della “soluzione a due Stati” è diventato una barzelletta nei corridoi delle Nazioni Unite, sia per la sua assoluta impossibilità di fatto, sia per il suo totale fallimento nel rendere conto dei diritti umani inalienabili del popolo palestinese. Il cosiddetto “Quartetto” [gruppo creato nel 2002 a Madrid per favorire una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese; comprende le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione europea e la Russia, ndt] non è diventato altro che una foglia di fico per l’inazione e per l’asservimento a uno status quo brutale. Il riferimento (scritto dagli Stati Uniti) agli “accordi tra le parti stesse” (al posto del diritto internazionale) è sempre stato un trasparente gioco di prestigio, progettato per rafforzare il potere di Israele sui diritti dei palestinesi occupati e diseredati.

Negli anni ’80 mi sono avvicinato a questa Organizzazione perché vi ho trovato un’istituzione basata su principi e norme, che si schierava decisamente dalla parte dei diritti umani, anche nei casi in cui i potenti Stati Uniti, Regno Unito ed Europa non erano dalla nostra parte. Mentre il mio governo, le sue istituzioni e gran parte dei media statunitensi continuavano a sostenere o giustificare l’apartheid sudafricana, l’oppressione israeliana e gli squadroni della morte centroamericani, l’ONU si schierava a favore dei popoli oppressi di quelle terre. Avevamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Avevamo i diritti umani dalla nostra parte. Avevamo i principi dalla nostra parte. La nostra autorità era radicata nella nostra integrità. Ma ora non più.

Negli ultimi decenni, parti importanti delle Nazioni Unite si sono arrese al potere degli Stati Uniti e alla paura della lobby di Israele, abbandonando questi principi e ritirandosi dal diritto internazionale stesso. Abbiamo perso molto in questo abbandono, non da ultimo la nostra credibilità globale. Ma è il popolo palestinese ad aver subito le perdite maggiori a causa dei nostri fallimenti. È un’incredibile ironia storica che la Dichiarazione universale dei diritti umani sia stata adottata nello stesso anno in cui è stata perpetrata contro il popolo palestinese la Nakba [esodo forzato, ndt]. Mentre commemoriamo il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, faremmo bene ad abbandonare il vecchio cliché secondo cui la Dichiarazione sarebbe nata dalle atrocità che l’hanno preceduta, e ad ammettere che è nata accanto a uno dei più atroci genocidi del XX secolo, quello della distruzione della Palestina. In un certo senso, i redattori promisero i diritti umani a tutti, tranne che al popolo palestinese. E ricordiamoci anche che le stesse Nazioni Unite hanno il peccato originale di aver contribuito a facilitare l’espropriazione del popolo palestinese, ratificando il progetto coloniale europeo che ha sequestrato la terra palestinese e l’ha consegnata ai coloni. Abbiamo molto da espiare.

Ma la via dell’espiazione è chiara. Abbiamo molto da imparare dalle posizioni di principio assunte nelle città di tutto il mondo negli ultimi giorni, quando masse di persone si sono schierate contro il genocidio, anche a rischio di percosse e arresti. I palestinesi e i loro alleati, i difensori dei diritti umani di ogni genere, le organizzazioni cristiane e musulmane e le voci ebraiche progressiste che dicono “non in nostro nome”, sono tutti in prima linea. Tutto ciò che dobbiamo fare è seguirli. Ieri, a pochi isolati da qui, la Grand Central Station di New York è stata completamente occupata da migliaia di ebrei, difensori dei diritti umani, che si sono schierati in solidarietà con il popolo palestinese e hanno chiesto la fine della tirannia israeliana (molti rischiando l’arresto). Così facendo, hanno eliminato in un attimo il punto di vista della propaganda hasbara israeliana (e vecchio tropo antisemita) secondo cui Israele rappresenta in qualche modo il popolo ebraico. Non è così. E, in quanto tale, Israele è l’unico responsabile dei suoi crimini. A questo proposito, è bene ribadire, nonostante le calunnie della lobby israeliana, che le critiche alle violazioni dei diritti umani di Israele non sono antisemite, così come le critiche alle violazioni saudite non sono islamofobe, le critiche alle violazioni del Myanmar non sono anti-buddiste, o le critiche alle violazioni indiane non sono anti-induiste. Quando cercano di metterci a tacere con le calunnie, dobbiamo alzare la voce, non abbassarla. Sono certo che converrà con me, Alto Commissario, che questo è il senso di dire la verità al potere.

Ma trovo anche speranza in quelle parti dell’ONU che si sono rifiutate di compromettere i principi dei diritti umani dell’Organizzazione, nonostante le enormi pressioni in tal senso. I nostri relatori speciali indipendenti, le commissioni d’inchiesta e gli esperti degli organi dei trattati, insieme alla maggior parte del nostro personale, hanno continuato a difendere i diritti umani del popolo palestinese, anche quando altre parti delle Nazioni Unite (anche ai livelli più alti) hanno vergognosamente chinato la testa al potere. In quanto custode delle norme e degli standard sui diritti umani, l’Alto Commissariato ha il particolare dovere di difenderli. Il nostro compito, a mio avviso, è quello di far sentire la nostra voce, dal Segretario generale all’ultima recluta delle Nazioni Unite, e orizzontalmente in tutto il sistema ONU, insistendo sul fatto che i diritti umani del popolo palestinese non sono oggetto di discussione, negoziazione o compromesso in nessun luogo sotto la bandiera blu.

Come dovrebbe essere, allora, una posizione basata sulle norme delle Nazioni Unite? Per cosa dovremmo lavorare se fossimo fedeli ai nostri ammonimenti retorici sui diritti umani e sull’uguaglianza per tutti, sulla responsabilità per i colpevoli, sulla riparazione per le vittime, sulla protezione dei vulnerabili e sulla responsabilizzazione dei titolari dei diritti, il tutto nell’ambito dello Stato di diritto? La risposta, a mio avviso, è semplice – se solo avremo la lucidità di vedere al di là delle cortine propagandistiche che distorcono la visione della giustizia a cui abbiamo prestato giuramento, il coraggio di abbandonare la paura e la deferenza nei confronti degli Stati potenti, e la volontà di alzare veramente la bandiera dei diritti umani e della pace. Certo, si tratta di un progetto a lungo termine e di una salita ripida. Ma dobbiamo iniziare ora o arrenderci a un orrore indicibile. Vedo dieci punti essenziali:

  1. Azione legittima: in primo luogo, noi delle Nazioni Unite dobbiamo abbandonare il fallimentare (e in gran parte falso) paradigma di Oslo, la sua illusoria soluzione a due Stati, il suo impotente e complice Quartetto e la sua sottomissione del diritto internazionale ai dettami di una presunta convenienza politica. Le nostre posizioni devono basarsi in modo inequivocabile sui diritti umani e sul diritto internazionale.
  2. Chiarezza di visione: dobbiamo smettere di fingere che si tratti semplicemente di un conflitto per la terra o la religione tra due parti in guerra e ammettere la realtà della situazione in cui uno Stato dal potere sproporzionato sta colonizzando, perseguitando ed espropriando una popolazione indigena sulla base della sua etnia.
  3. Uno Stato unico basato sui diritti umani: dobbiamo sostenere l’istituzione di uno Stato unico, democratico e laico in tutta la Palestina storica, con pari diritti per cristiani, musulmani ed ebrei e, quindi, lo smantellamento del progetto coloniale profondamente razzista e la fine dell’apartheid in tutta la terra.
  4. Lotta all’apartheid: dobbiamo reindirizzare tutti gli sforzi e le risorse delle Nazioni Unite alla lotta contro l’apartheid, proprio come abbiamo fatto per il Sudafrica negli anni ’70, ’80 e primi anni ’90.
  5. Ritorno e risarcimento: dobbiamo riaffermare e insistere sul diritto al ritorno e al pieno risarcimento per tutti i palestinesi e le loro famiglie che attualmente vivono nei territori occupati, in Libano, Giordania, Siria e nella diaspora in tutto il mondo.
  6. Verità e giustizia: dobbiamo chiedere un processo di giustizia transitoria, facendo pieno uso di decenni di indagini, inchieste e rapporti delle Nazioni Unite, per documentare la verità e garantire la responsabilità di tutti i colpevoli, il risarcimento di tutte le vittime e i rimedi per le ingiustizie documentate.
  7. Protezione: dobbiamo fare pressioni per il dispiegamento di una forza di protezione delle Nazioni Unite dotata di risorse adeguate e di un forte mandato per proteggere i civili dal fiume al mare [dal fiume Giordano alla costa del Mediterraneo, ndt].
  8. Disarmo: dobbiamo sostenere la rimozione e la distruzione delle massicce scorte di armi nucleari, chimiche e biologiche di Israele, per evitare che il conflitto porti alla distruzione totale della regione e, forse, anche oltre.
  9. Mediazione: dobbiamo riconoscere che gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali non sono in realtà mediatori credibili, ma piuttosto parti effettive del conflitto, che sono complici di Israele nella violazione dei diritti dei palestinesi, e dobbiamo affrontarli come tali.
  10. Solidarietà: dobbiamo spalancare le nostre porte (e le porte del Segretario Generale) alle legioni di difensori dei diritti umani palestinesi, israeliani, ebrei, musulmani e cristiani che sono solidali con il popolo palestinese e con i suoi diritti umani e fermare il flusso incontrollato di lobbisti israeliani negli uffici dei leader delle Nazioni Unite, dove sostengono la continuazione della guerra, della persecuzione, dell’apartheid e dell’impunità e diffamano i nostri difensori dei diritti umani per la loro difesa di principio dei diritti dei palestinesi.

Ci vorranno anni per raggiungere questi obiettivi, e le potenze occidentali ci combatteranno ad ogni passo, quindi dobbiamo essere saldi. Ora, anzitutto, dobbiamo lavorare per un cessate il fuoco immediato e la fine del lungo assedio su Gaza, opporci alla pulizia etnica di Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania (e altrove), documentare l’assalto genocida a Gaza, contribuire a portare massicci aiuti umanitari e per la ricostruzione ai palestinesi, prenderci cura dei nostri colleghi traumatizzati e delle loro famiglie e lottare con tutte le forze per un approccio attento ai principi negli uffici politici delle Nazioni Unite.

Il fallimento dell’ONU in Palestina non è un motivo per ritirarsi. Piuttosto, dovrebbe darci il coraggio di abbandonare il paradigma fallimentare del passato e di abbracciare pienamente un percorso più basato sui principi. Come Alto Commissariato, uniamoci con coraggio e orgoglio al movimento anti-apartheid che sta crescendo in tutto il mondo, aggiungendo il nostro logo alla bandiera dell’uguaglianza e dei diritti umani per il popolo palestinese. Il mondo ci guarda. Tutti noi dovremo rendere conto della nostra posizione in questo momento cruciale della storia. Schieriamoci dalla parte della giustizia.

La ringrazio, Alto Commissario Volker, per aver ascoltato questo ultimo appello dalla mia scrivania. Tra pochi giorni lascerò l’Ufficio per l’ultima volta, dopo oltre tre decenni di servizio. Ma non esitate a contattarmi se potrò esservi utile in futuro.

28 ottobre 2023

Cordialmente

Craig Mokhiber

L’originale della lettera può leggersi al link https://volerelaluna.it/wp-content/uploads/2023/11/Lettera-Craig-Mokhiber-a-Alto-commissario-ONU-diritti-umani.pdf

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/02/palestina-un-caso-di-genocidio-da-manuale-e-il-fallimento-dellonu/
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