Bisogno di cambiare e nuove forme di mobilitazione

di Francesca Ursula Bitetto

5.3 Soggetti e motivi della mobilitazione

Chi sono stati gli attori in gioco, i soggetti che si sono mobilitati?

[…] Per comprendere chi si è mobilitato è indispensabile tenere conto del capitale sociale presente in città. Tenere conto di tutte quelle persone che con le loro biografie e la loro partecipazione hanno contribuito ad una parte della storia della città e ne hanno modificato il corso scegliendo di scendere in campo in prima persona, senza più delegare ai professionisti della politica.

Questa presa in carico allargata delle scelte collettive è stata la maggiore novità del tessuto associativo locale che ha iniziato finalmente a tralasciare egoismi e sospetti e a cooperare per una sfida condivisa: un nuovo governo della città. Ciò è tanto più rilevante se si pensa che spesso la vita associativa è percorsa anche da dinamiche di diverso tipo.

Talvolta le associazioni si costituiscono e sono gestite attorno ad un leader che le usa per scopi personali, e nell’incontro formale di diverse realtà spesso si cela un po’ di veleno di chi vuole sottrarre all’altro il primato, il merito, l’eccellenza.(Bitetto, 2001) (pag.135) Se questi aspetti prevalgono l’associazionismo non si differenzia dalle logiche dell’utile individuale e del successo personale è solo un mezzo diverso per ottenere vantaggi privati più che benefici collettivi.

Dietro la sfiducia a partecipare c’è il sospetto della strumentalità dell’azione. Viceversa, per lo sviluppo è necessaria la fiducia, che è sempre un atteggiamento rischioso, dal momento che contiene al suo interno la possibilità di essere tradita, mal riposta.

La fiducia è il contrario del disincanto presuppone una quota di “incanto”, di magia, che consente di credere nella possibilità di un cambiamento. Per questo i sogni sono utilizzati dai messaggi pubblicitari come dalla propaganda politica (buona o cattiva), perché consentono una mobilitazione di energie atrofizzate, nascoste.Il sogno americano promette un cambiamento del destino sociale fondato sul merito e trasmette l’idea della mobilità sociale come di un obiettivo raggiungibile.

Se Michele Emiliano fosse stato eletto da tanti soggetti che hanno negoziato e scambiato il proprio impegno in cambio di un vantaggio personale, il suo governo non sarebbe molto diverso dai precedenti, semplicemente ad alcuni vincitori se ne sarebbero sostituiti altri ma le logiche per la conquista e la gestione del potere sarebbero simmetriche, qualitativamente equivalenti.

Si può viceversa parlare di rottura epistemologica (non nelle premesse culturali ma nella gestione effettiva del potere) nella misura in cui il potere non è gestito per sé ed i propri sostenitori ma per la collettività.

Se dietro la spinta a partecipare non c’è come aspirazione principale quella del potere e della gloria personale, è possibile trovare spazi di autenticità, spazi perché lo stare insieme, lo stesso divertimento non rappresentino un modo per ammazzare il tempo, per fuggire dalla realtà e dalla responsabilità, ma per ritrovare una socialità che è anche senso civico.

Uno degli obiettivi costanti di Città plurale è stato quello di coniugare impegno, cultura e quello che a Bari si chiama “priscio”ovvero il piacere puro di stare insieme per divertirsi, l’entusiasmo.

A mio avviso la politica è così poco amata dalla gente comune perché i meccanismi che la governano sfuggono al controllo di chi vorrebbe partecipare. Non se ne comprende a fondo la rilevanza nella vita quotidiana, se non per piccoli scambi e favori. E spesso quello di cui si ha bisogno non è il piccolo vantaggio ma il grande coinvolgimento, lo stato nascente come lo definisce Alberoni (1977).

La rappresentazione mediatica della politica non contribuisce a darle dignità. E’ privilegiata la litigiosità, la spettacolarizzazione che svuota di contenuto e banalizza problemi che non vengono compresi dalla gente comune, e solo per questo appaiono irrilevanti, privi di interesse. Baudrillard (1988) li definisce gli “abissi della comunicazione superficiale”, dove la comunicazione è solo apparente. “L’estasi della comunicazione”(ibidem): si ha l’impressione di sapere sempre di più, di poter guardare con l’occhio dei vari grandi fratelli televisivi (pag.136) nella vita delle persone ma si sa sempre di meno dei grandi poteri e degli interessi privati.

Chi governa usando il potere a scopi privati non ha interesse a far comprendere le conseguenze reali delle decisioni sulla vita delle persone. Per questo è importante che chi possiede gli strumenti concettuali per comprendere e comunicare ciò che accade si attivi per la collettività “faccia da “cerniera” fra diverse realtà sociali, diversi universi simbolici, e linguaggi. Altrimenti può accadere che in nome di un’innovazione senza memoria, senza esperienza e che pretende di non aver nulla da imparare dal passato, tanto è dedita al “fare”, in questa direzione tutto appaia vetusto: la scuola, la giustizia, l’economia, la costituzione, la sanità e il sapere, tutto può e deve cambiare.

La gente comune sembrava disinteressarsi al cambiamento perché credeva che le stratificazioni sociali sarebbero restate tali e quali, con qualunque governo. La democrazia è una ideologia? (Canfora, 2004). Un concetto che le classi dominanti utilizzano per legittimare e mantenere il proprio potere, pur determinandosi una situazione di esclusione di fatto della gente comune dalla gestione del potere, dalla riflessione sul potere e dal godimento dei più elementari diritti? Se è questo, la posta in gioco è grossissima.

Il rischio è che la nostra civiltà si riveli essere una grande inciviltà, un modo per difendere i propri privilegi con guerre, filo spinato, armi, per usare un’immagine con cui Alex Zanotelli (2004) descrive il modo con cui in Africa i benestanti difendono i loro privilegi di minoranza dalla maggioranza della popolazione, ma che è molto vicina anche alle nostre ricchezze e povertà di europei colti e benestanti.

Qui la posta in gioco è senza precedenti. Le conseguenze del “nuovo stato di natura” (Marramao, 1995) che non è determinato dall’assenza di diritti ma dalle violenze generate, compiute in nome del diritto, che aumentando le attese fa sì che si moltiplichino le rivendicazioni (19 Per il ruolo del risentimento nelle rivendicazioni interne alla società democratica rimando a M. Scheler (1975), ‘Il risentimento nella edificazione delle morali’, Vita e pensiero, Milano e H. Schoeck (1974), ‘L’invidia e la società’, Rusconi, Milano, ripresi da me in F. Bitetto, (2000) ‘Uva Acerba. Lo sguardo traverso del risentimento’, in B. Cattarinussi (a cura di), ‘Emozioni e sentimenti nella vita sociale’, Franco Angeli, Milano.) e le pressioni per realizzare le promesse non mantenute dalle democrazie occidentali (Bobbio, 1984) sono sotto i nostri occhi.

Bobbio individua sei ostacoli all’attuazione dell’ideale democratico:

• l’affermarsi di una società centrifuga,

•la rivincita degli interessi,

•la persistenza delle oligarchie,

•i limiti spaziali della democratizzazione,

•la persistenza del potere invisibile

•e la non educazione della cittadinanza.

La società civile barese si è attivata soprattutto su quest’ultima e sulla fiducia come risorsa per mitigare le spinte centrifughe e il monopolio degli interessi privati. (pag. 137)

Per rendere davvero efficace la cooperazione è tuttavia indispensabile che non sia episodica ma che si strutturi tanto da affiancare, sostenere criticamente e attivamente il governo della città.

Si è giunti ad un punto di non ritorno in cui sono date due alternative: l’uso del potere a scopi privati con lo svuotamento dell’ideale democratico e la definitiva implosione della sfera pubblica in sfera privata (cit. in Livolsi, 2003) o il tentativo di contrastare questo esito individuando gli ostacoli alla traduzione degli ideali in pratica democratica, dei diritti formali in diritti sostanziali.

Perché questo avvenga è necessaria una rottura qualitativa, una soluzione di continuità, un mutamento, che contrasti la tendenza alla disaffezione alla politica, che nonostante l’inversione di tendenza rintracciabile nell’esito elettorale barese continua ad essere dominante a diversi livelli (locale, nazionale, internazionale) (Sciolla, 2004).

La rottura epistemologica nelle premesse culturali del cambiamento si è avuta quando la città ha deciso di non tematizzarsi più come periferia, sottosviluppo di un modello “californiano” o settentrionale di sviluppo ma ha iniziato a investire sulle proprie competenze attraverso tre elementi:

• ha iniziato a credere nella possibilità di poter contrastare oligarchie e interessi;

• ha iniziato a mettere davvero in gioco le proprie capacità, competenze, conoscenze ( il bisogno di cambiare si è misurato con i possibili spazi di azione per determinare il cambiamento);

• ha sperimentato la necessità della cooperazione con gli altri attori sociali del territorio.

Le premesse culturali hanno favorito la vittoria elettorale ma la vera sfida è ancora da giocare collettivamente: l’attuazione di un governo coerente con quelle premesse che determini un’innovazione anche nei metodi di governo della città. (pag.138)

Cittadinanza attiva e nuova democrazia: l’eperienza barese

Franco Chiarello

7.3 Il carattere innovativo dell’esperienza barese

Lo sviluppo dell’associazionismo civico nell’area metropolitana di Bari negli ultimi 15 anni non è un fenomeno isolato. Esso è avvenuto in un contesto nazionale che ha registrato movimenti analoghi in altre aree del Paese.

Basta pensare al movimento civile nato spontaneamente a Palermo dopo i terribili delitti di Falcone e Borsellino, che ebbe in seguito uno sbocco istituzionale nella “Rete” di Leoluca Orlando, oppure alle mobilitazioni che hanno sostenuto (pag. 152) l’esperienza di “Mani pulite” all’inizio degli anni Novanta, che a Milano, per esempio, ha visto la nascita di circoli come “Società civile”, fondato da un gruppo di intellettuali che faceva capo a Nando dalla Chiesa, o di movimenti come la stessa Lega Nord, oppure, più recentemente, al movimento dei no/new global e dei girotondi.

Tuttavia, ciò che caratterizza l’associazionismo barese di mobilitazione civica è che negli ultimi anni esso si è rafforzato proprio mentre movimenti analoghi, e in particolare quello dei Girotondi, sembrano essersi affievoliti.

Il suo consolidamento in controtendenza rispetto al quadro nazionale può forse essere spiegato per un verso con la sua stessa “lunga” tradizione di impegno civico, e per altro verso, con il fatto che, pur partecipando alla mobilitazione su temi generali (la legalità, la giustizia, l’informazione), esso non ha mai smesso di focalizzare la sua attenzione sui problemi specifici della realtà locale.

E’ probabile dunque che questa attitudine ad “accorciare lo sguardo” per non perdere mai di vista i temi della città, se da un lato ha scongiurato forme di chiusura localistica, dall’altro ha consentito una minore esposizione dell’associazionismo barese alla grande variabilità che ha caratterizzato i movimenti a livello nazionale.

Intendiamoci, non è che la presenza delle associazioni civiche nella realtà locale sia stata sempre costante, ma è legittimo ritenere che questa presenza abbia seguito un ciclo ondulatorio meno accentuato che altrove.

Un’altra spiegazione della crescita dell’associazionismo a Bari risiede probabilmente nella circostanza che ciò che ha caratterizzato prevalentemente l’esperienza barese è stata la nascita di strutture associative piuttosto che l’esplosione di movimenti sociali spontanei.

In altri termini, ciò che si è verificato a Bari è più un processo di nascita di raggruppamenti organizzati secondo un progetto associativo su issue specifiche che un’aggregazione di soggetti sociali che si ritrovano insieme nella mobilitazione su qualche emergenza cittadina secondo la logica tipica dello stato nascente (Alberoni, 1977).

Spesso la nascita delle associazioni locali ha avuto una lunga fase di incubazione e periodi di vita grama in cui esse sono riuscite a mobilitare fasce molto limitate di popolazione, quelle più direttamente interessate da un determinato problema.

Tuttavia, un buon numero di queste associazioni ha avuto perseveranza: le talpe associative hanno avuto il merito di continuare a scavare sottotraccia anche nei periodi di magra, così che, quando se ne sono presentate le condizioni, molte di esse sono riuscite a trasformare issue limitate e parziali in temi di dibattito e di mobilitazione cittadina.

In ogni caso, a Bari sono state le associazioni a produrre movimento civico più che essere esse stesse il prodotto di quest’ultimo.

Infine, una terza spiegazione della relativa continuità della presenza del movimento associativo a Bari va presumibilmente ricercata nella resistenza (pag.153) della maggior parte dei soggetti associativi a lasciarsi confinare nel recinto della cosiddetta antipolitica (Mastropaolo, 2000).

Naturalmente, tentativi di bollare la protesta (ma anche le proposte) delle associazioni di cittadinanza attiva con il marchio di una preconcetta avversione populistica nei confronti dei partiti non sono mancati: non per nulla l’on. D’Alema è di casa da queste parti!

Si può dire, però, che questi tentativi sono stati sventati intanto dall’incontrovertibile circostanza che un numero non indifferente di iscritti alle diverse associazioni che animano la vita cittadina ha anche una tessera o è comunque simpatizzante di qualche partito (quasi sempre del centrosinistra) e poi dalla capacità dei movimenti di cittadinanza attiva di tenere insieme la critica della politica e l’esigenza di una sua profonda riforma con una costante ricerca del dialogo e del confronto con i partiti.

Facendo ancora riferimento alle categorie di Hirschman, si può affermare che l’associazionismo barese ha imboccato da tempo la strada di un esercizio costruttivo della protesta, attraverso cui perseguire la ricerca di nuove forme di lealtà attiva alternative alla defezione (Bajiot, 1988).

Ai partiti non si fa fatica a riconoscere di essere stati per lungo tempo uno dei luoghi privilegiati della cittadinanza, uno strumento essenziale attraverso il quale i cittadini hanno fatto sentire la loro voce sui problemi della comunità.

Ciò che del modo di essere dei partiti si mette in discussione è, però, la loro pretesa di continuare ad avere il monopolio della rappresentanza politica, rifiutando di confrontarsi in forme non strumentali con altre espressioni sociali, in una situazione nella quale i loro (dei partiti) spazi di presenza e di radicamento nella società si sono indubbiamente ridotti e, al contempo, sono venute emergendo forme non partitiche di cittadinanza attiva assai più mature e consapevoli che in passato (Cassano, 2004).

La dimostrazione più eloquente che le associazioni non sono l’antipolitica, ma sanno dialogare e confrontarsi con i partiti viene proprio dall’esperienza della convenzione cittadina per la preparazione della competizione elettorale che ha portato Michele Emiliano a diventare sindaco di Bari e dallo spirito unitario con il quale tutte le espressioni del centrosinistra stanno affrontando la campagna per eleggere Vendola alla presidenza della Regione Puglia dopo le tensioni delle elezioni primarie dello scorso gennaio.

7.5 Associazionismo ed elezioni

[…] Naturalmente, sarebbe da sciocchi pensare che la “primavera” barese e pugliese sia sbocciata per il solo merito dei movimenti e delle associazioni di cittadinanza attiva. Altri fattori hanno contribuito al successo elettorale di Michele Emiliano e degli altri eletti alla presidenza delle Province pugliesi e, da ultimo, alla vittoria di Nichi Vendola nelle elezioni primarie.

[…] Nel caso di Michele Emiliano, alla sua vittoria al Comune di Bari hanno contribuito certamente sia variabili esogene (l’appannamento del governo Berlusconi, la modesta capacità di governo dell’amministrazione Di Cagno (Pag-162) Abbrescia, l’ineleggibilità del Sindaco uscente per limite di mandati, l’evanescenza del candidato designato a succedergli, la progressiva perdita di egemonia del centrodestra locale e le tensioni che si sono sviluppate al suo interno sia durante l’ultima fase del governo cittadino che durante la preparazione della campagna elettorale), sia variabili endogene, relative al prestigio personale e alle doti comunicative del candidato di centrosinistra, alla sua abilità di costruire buoni rapporti con la borghesia imprenditoriale e i gruppi professionali della città, alle grandi capacità creative e organizzative del suo staff, ai metodi innovativi di conduzione della campagna elettorale.

Ovviamente, a tutti questi elementi va poi aggiunto, last but not least, il sostegno compatto dei partiti della coalizione di centrosinistra. Ciò detto, però, si deve anche ribadire che un ruolo di grande rilevanza nella vittoria di Emiliano spetta alle associazioni di cittadinanza attiva.

La sua elezione è stata infatti il risultato di un percorso disegnato in larga misura dal movimento associativo locale. Innanzitutto, la sua candidatura a sindaco di Bari è stata proposta per la prima volta — quando mancava oltre un anno all’appuntamento elettorale — da una delle associazioni più attive e prestigiose tra quelle presenti sulla scena cittadina, Città Plurale.

In secondo luogo, nello stesso periodo fu la stessa associazione, insieme con altre, a lanciare l’idea di dar vita ad una Convenzione cittadina dei partiti e delle associazioni con il duplice obiettivo di attivare un confronto paritario tra questi soggetti che ne stemperasse le tensioni e le diffidenze reciproche e si concludesse con l’elaborazione di un programma condiviso e con l’indicazione ufficiale del candidato della coalizione di centrosinistra al Comune di Bari.

In effetti, nonostante alcune difficoltà derivanti soprattutto dalla novità di questa esperienza, la Convenzione è stata un esperimento riuscito e per molti versi esemplare nel panorama politico nazionale: nel giro di sei mesi essa è riuscita a concludere i suoi lavori, presentando un robusto programma per la città e designando Michele Emiliano come candidato dei partiti di centrosinistra e delle associazioni al Comune di Bari.

Infine, la stessa conduzione della campagna elettorale di Emiliano ha assunto forme e modalità largamente ispirate dall’azione del movimento associativo locale: i “cantieri di ascolto”, i forum tematici, le “onde” nei quartieri della città sono stati gli strumenti organizzativi, preparati tutti con molta cura dallo staff del candidato, attraverso i quali si è dato ampio spazio alla partecipazione attiva di migliaia di cittadini e alla discussione pubblica sui temi più importanti della vita della città.

Val la pena di osservare che, nonostante il grande impegno profuso in occasione dei due appuntamenti elettorali di cui si è parlato, il movimento associativo barese e pugliese non si è lasciato assorbire totalmente da questi, ma è riuscito a mantenere aperti altri spazi d’intervento politico-culturale e ad esso (pag. 163) certamente più congeniali.

Tuttavia, va anche detto che la sua capacità di essere presente nell’agone elettorale, pur senza rinunciare ad intervenire su temi più specifici, ha prodotto un radicale cambiamento nel sistema politico regionale e locale.

Osservato dal basso — dal lato della società piuttosto che da quello istituzionale — il sistema politico emerso dalle due esperienze elettorali risulta ormai strutturalmente composto da quattro pilastri:

• i partiti tradizionali,

• la società civile che si è raccolta nelle liste civiche dei presidenti di Provincia e dei Sindaci di alcune comuni capoluogo (in particolare, la lista Pellegrino a Lecce e la lista Emiliano a Bari),

• la società civile organizzata delle associazioni e dei movimenti;

• la società civile molecolare, composta da cittadini che non si sono limitati semplicemente a votare, ma sono stati attivamente coinvolti nella discussione politica e mobilitati nella campagna elettorale.

L’edificio del centrosinistra pugliese si regge su questi quattro pilastri. Essi si sostengono e si rafforzano a vicenda, ma è soprattutto l’unità delle prime tre componenti — i partiti, le liste civiche e l’universo delle associazioni e dei movimenti — la molla che spinge alla mobilitazione anche la quarta, quella della società civile molecolare.

7.6 Conclusioni: dove va l’associazionismo barese?

[…] L’associazionismo infatti rappresenta una forma di capitale sociale attraverso il quale vengono rafforzati i rapporti di fiducia e di cooperazione e, per questa via, costituisce una risorsa rilevante per lo sviluppo economico.

I progressi che nell’ultimo decennio hanno caratterizzato l’economia e la società locale hanno prodotto significativi cambiamenti nella struttura economica e nella stratificazione sociale. Questi fenomeni sono tra loro connessi e sono alla base del dinamismo associativo che si è registrato nel capoluogo pugliese e in tutta la regione. Questo, a sua volta, può essere visto come conseguenza, ma anche come causa, di un processo di omogeneizzazione che è stato più rapido nella sfera socio-culturale che non in quella economico-produttiva. (pag. 164)

All’addensamento dei gruppi associativi sembra aver influito anche — in misura per nulla trascurabile — il distacco che si è progressivamente manifestato tra cittadini e istituzioni e tra cittadini e sistema dei partiti e che può essere sintetizzato nella formula della crisi della politica.

Oltre ad essere un fattore essenziale per lo sviluppo economico, le associazioni, e in particolare quelle di cittadinanza attiva, rappresentano una risorsa rilevante per il rinnovamento delle istituzioni pubbliche e della politica. Esse infatti sono il terreno nel quale si formano nuove domande e nuove proposte nei riguardi delle amministrazioni locali e dei partiti politici.

In questo senso esse possono costituire una sponda essenziale per istituzioni che vogliano introdurre innovazioni nei meccanismi di gestione della cosa pubblica, che vogliano orientarsi verso l’offerta di beni collettivi e verso forme di consenso non clientelari.

L’associazionismo può favorire lo sviluppo e migliorare i rendimenti della politica. Come è stato acutamente sottolineato: «…non ci può es-sere sviluppo senza una buona politica, ma non ci può essere una buona politica senza una società civile più autonoma e organizzata che la stimoli a fornire beni collettivi e ne controlli i risultati» (Trigilia, 1995: 227).

[…] La vita delle associazioni baresi, soprattutto di quelle più impegnate sul terreno politico, è anche attraversata da dilemmi non trascurabili, che sarebbe sciocco attribuire alla precarietà della loro esistenza, ma che certo questa non aiuta a superare.

Due mi sembrano essere i dilemmi più sofferti.

Il primo consiste nella scelta tra stare fuori o dentro le istituzioni locali: tra la coltivazione della propria autonomia che le induce a rinunciare alla presenza di loro esponenti all’interno delle istituzioni locali e il timore di essere stritolate dalle loro logiche di funzionamento di queste stesse istituzioni.

Standosene all’esterno, esse corrono il rischio di avere un’influenza marginale sui processi di rinnovamento delle istituzioni; stando all’interno, corrono il rischio di perdere anche quel poco di influenza, insieme con la loro autonomia.

Il secondo dilemma è racchiuso nell’oscillazione tra posizioni di lealtà passiva verso le istituzioni locali e posizioni di vivace protesta.

Nel primo caso, le associazioni rischiano di adattarsi supinamente alle decisioni assunte dall’amministrazione locale per il solo fatto che si tratta di un’amministrazione “amica”, che esse stesse hanno contribuito ad eleggere.

Nel secondo caso, invece, le associazioni rischiano di ritagliarsi un ruolo perfettamente (pag. 165) in linea con la famosa “legge di Tocqueville”, da lui così formulata: «accade il più delle volte che un popolo che aveva sopportato senza lamentarsi le leggi più oppressive, le rifiuti violentemente non appena se ne alleggerisca il peso» (De Tocqueville, 1969; 69).

In altre parole, quando la situazione politica migliora, diventa probabile che i cittadini percepiscano la possibilità di ulteriori miglioramenti e, di conseguenza, accrescano le loro aspettative nei confronti dei governanti.

Può quindi accadere che, nonostante la loro positività, molti interventi pubblici sulla città siano considerati di modesta portata e producano l’effetto di aumentare il pubblico malcontento anziché ridurlo.

‘I nuovi movimenti come forma rituale’ a cura di Marino Livolsi

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